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IL RIFUGIO 87 DI VIALE BODIO

Milano al tempo della guerra

“La nostra Milano non esiste più. […] la Galleria in frantumi, una guglia del Duomo reclinata sulla piazza, un groviglio di fili. […]. Milano non è più che un immenso “obitorio” di palazzi straziati e lacerati”

(Arrigo Minerbi, 21 agosto 1943)

L’immagine di Milano dopo i raid aerei è questa: un “obitorio”, una città “insudiciata di morte” (A. Savinio), distruzione e macerie ovunque, in centro, come in periferia. Nessun edificio, pubblico o privato che sia, uscì indenne dalla furia dei bombardamenti, alla fine della guerra i morti che si contarono a Milano furono tra i 1.200 e i 2.000. Potevano essere di più, non lo furono. Non lo furono, non solo perché molti lasciarono Milano, gli sfollati, ma non lo furono anche grazie ai numerosi rifugi antiaerei che, disseminati in città, garantirono protezione e salvezza. Ci si attrezzò in previsione dell’entrata in guerra anche del nostro Paese. L’ideale sarebbe stato costruire ad hoc rifugi con il massimo delle garanzie: contro lo scoppio delle bombe cadute in prossimità e dalla conseguente proiezione di schegge, contro lo spostamento d’aria, rifugi da realizzare con largo uso di cemento armato, in modo da poter resistere in caso in cui una bomba avesse centrato il rifugio stesso, rifugi “a tenuta stagna”, cioè impenetrabile ai gas chimici…  Il primo grande rifugio antiaereo milanese fu realizzato nel secondo livello sotterraneo della Stazione Centrale, era una struttura “a galleria” con tre distinti accessi… e poi? Poco altro si poté fare, e, alla fine, il numero maggiore di rifugi (meglio “ricoveri” termine più rassicurante!) furono le cantine delle case, che vennero puntellate con travi e centine, attrezzate con i minimi presidi e comfort, acqua potabile, gabinetti e ogni altra dotazione prescritta, perché la permanenza nei rifugi non si poteva calcolare. Alcuni di questi “ricoveri” sono sopravvissuti e sono stati resi visitabili per non perdere la memoria di quei momenti terribili.