Il Cimitero Monumentale di Milano

Ci sono poche persone al mondo che si alzano al mattino con la voglia di visitare un cimitero. Io sono una di quelle. Non lo so che cosa mi spinge ma è un luogo che mi incuriosisce e mi attrae. Magari la scusa è di cercare un personaggio famoso, poi vengo colpita dalla bellezza di una cappella o da un monumento maestoso, oppure mi intenerisce una piccola tomba o una frase dettata dal cuore. “I cimiteri rappresentano la cultura di un popolo” dico sempre ai miei turisti “non ne troverete uno uguale!”. Ebbene sì, ogni popolo ha la sua cultura, religione e tradizione, nonché scelte dettate dalle condizioni climatiche. Il cimitero è spesso la mia prima mèta, che sia in una grande città o che sia in un piccolo luogo come quello di Lampedusa, dove sono rimasta particolarmente colpita dalle lapidi dedicate agli ignoti, ossia a quelle persone che avevano sperato, pur affrontando un viaggio pericoloso, di trovare una vita migliore!
Napoleone, con il suo editto di Saint Cloud aveva messo per iscritto che nessuno doveva ostentare grandi tombe, al massimo una lapide in ricordo delle gesta del defunto (se proprio era così importante). Ma Ugo Foscolo aveva replicato che questa legge privava ai viventi un mezzo importante per ricordare chi ci lascia: la tomba! È proprio così; questo monumento, piccolo o grande che sia è un tramite tra i vivi e i morti. Io mi avvicino, osservo, leggo, scatto una foto. Provo un’emozione e mi meraviglio di aver scoperto un personaggio famoso o mi chiedo chi è colui di cui leggo un nome a me sconosciuto … e così facendo mi accorgo che in questo modo onoro la sua vita e ciò che ha fatto.
Proprio come diceva Foscolo “andate a visitare e onorare le tombe dei grandi” (era rimasto particolarmente colpito dalla quantità di grandi personaggi sepolti a Firenze nella Chiesa di Santa Croce) perché è giusto – diceva – che queste persone che hanno reso famosa l’Italia nel mondo, non vengano dimenticate.
Mazzini aggiungeva: “se siamo su questa terra è perché Dio ha dato ad ognuno di noi una missione da compiere”. Io non ho ancora capito quale sia la mia, ma chi mi conosce sa che vorrei avere il mio nome scritto nel Famedio del Monumentale di Milano. Certo, ci scherzo, ma non nascondo che mi piacerebbe. Forse è solo pura vanità, ma umilmente penso anche che se comparirà il mio nome è perché avrò fatto qualcosa di importante per essere ricordata. E allora il mio pensiero va sempre a Foscolo, al carme dei Sepolcri “sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna”, che io interpreto come, “se ho fatto qualcosa che valga la pena per essere ricordata, lo sarò in eterno!”
Quando entro al Monumentale sorrido, mi sento a casa, lo spiego da 22 anni; eppure, scopro sempre qualcosa di nuovo.
Davanti ai sepolcri di Anna Kuliscioff o Ersilia Bronzini Majno, amo parlare del loro impegno sociale, unito all’opera di Sandrina Ravizza o Laura Solera Mantegazza che hanno veramente combattuto contro un mondo maschile ed ostile per l’emancipazione della donna. È grazie a loro se io posso studiare e lavorare, votare e progettare il mio futuro senza bisogno di chiedere permesso ad un uomo.
La grande Wanda Osiris – un ricordo della mia infanzia – me la immagino che scenda le scalinate del cimitero di notte con i suoi abiti incredibilmente sfarzosi. Non è stata solo una grande soubrette, ma una donna veramente coraggiosa che ha continuato a lavorare nel mondo dello spettacolo anche dopo aver avuto una figlia, senza mai rivelare alla stampa chi fosse il padre e che ha saputo portare un po’ di serenità dopo il disastro della grande guerra. E che dire della stilista Biki? Al secolo Elvira Leonardi: quando vide per la prima volta Maria Callas disse al marito di lei “io non posso fare miracoli!”, poi invece seppe trasformarla in una icona della moda!!!
Vogliamo ricordare le barzellette di Gino Bramieri che ci hanno accompagnato per una vita intera e fanno ancora tanto ridere?
Potrei parlare per giorni di tutti i personaggi famosi e non. Ma c’è una tomba che non spiego, che evito: è quella di Adolfo Wildt per la famiglia Bistoletti. No, non ce la faccio perché quell’immagine dei due fratelli così scarni che si abbracciano nel sonno della morte è troppo per me: mi ricordano mio papà!
E allora proseguo e cerco altre emozioni che non siano così forti e che non mi facciano perdere il sorriso. Persino il gatto nero, che fa parte della comunità protetta dei gatti nel cimitero, mi mette allegria (è anche il più coccolone!).
Quando lascio il cimitero saluto tutti, perché per me sono tutti amici che ormai conosco e che desidero con gioia far conoscere anche agli altri. Sono grata a coloro che riposano li perché mi permettono di riflettere sul senso della vita e allora penso che “io amo questo posto da morire, perché mi fa sentire viva!”
Alessandra Abbiati