“Noi vogliamo […] esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima […]  ribellarci contro la tirannia delle parole armonia e buon gusto […]  rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa […]” (dal Manifesto della Pittura Futurista, Milano, 1910)

Tre istituzioni – Palazzo Reale, Museo del Novecento e Castello Sforzesco –  in una sinergia di ricerca e intenti, per una  eccezionale retrospettiva dedicata ad Umberto Boccioni a cento anni dalla morte. Boccioni, calabrese di nascita, milanese di adozione, trovò nella nostra città gli stimoli, i contatti, l’ambiente ideale per esprimere nella sua arte la trasformazione e la modernità  dei tempi. Lo fece insieme a quei compagni che nel 1910 firmarono, sotto l’egida di Filippo Tommaso Marinetti, il Manifesto della Pittura Futurista, dando vita alla prima Avanguardia storica italiana, che pose Milano al passo on le città d’Europa dove stavano nascendo i movimenti d’Avanguardia.
Del gruppo, composto da Balla, Carrà, Severini e Russolo, Boccioni fu leader incontrastato fino alla sua morte, avvenuta troppo presto a soli 34 anni. Il nome stesso di Boccioni evoca in sé il Futurismo, con tutta la sua portata rivoluzionaria, dirompente, che lasciò il segno sulle sorti dell’arte del XX e XXI secolo.
Milano celebra Boccioni e lo fa in grande, a Palazzo Reale, esponendo circa 300 opere tra disegni, dipinti, sculture, incisioni, fotografie d’epoca, libri, riviste e documenti provenienti non solo dalle collezioni milanesi, ma anche  da prestiti e collaborazioni di importanti istituzioni museali e collezioni private italiane e straniere.

 

GALLERIA

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QUALCHE SPUNTO OLTRE LA MOSTRA

IL FUTURISMO: UN GRIDO FORTE E TRASGRESSIVO

“Agli artisti giovani d’Italia!
[…] noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo alla supina ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e all’entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio e corroso dal tempo […]
È vitale soltanto quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda … noi dobbiamo ispirarci alla vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la terra, ai transatlantici, alle corazzate, ai voli meravigliosi che solcano i cieli […] e possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle grandi capitali? […] Con questa entusiastica adesione al futurismo, noi vogliamo:
[…] esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima
[…] ribellarci contro la tirannia delle parole armonia e buon gusto
[…] rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa […]” (dal Manifesto della Pittura Futurista, Milano, 1910)
Questo non è che un estratto dal Manifesto della Pittura Futurista pubblicato nel 1910 a Milano e firmato da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini. Il Futurismo si presentava così gridando con insolenza e intolleranza il proprio rigetto di tutto ciò che sapeva di passatismo, vecchio, accademico, in nome di un presente e di un futuro giovanile e radioso. La spinta di tale ribellione venne agli artisti da un poeta e romanziere italiano, Filippo Tommaso Marinetti, che da Parigi aveva anche lui l’anno precedente urlato la legittimità di una letteratura moderna, di rottura con i modelli estetici della tradizione (“Manifesto del Futurismo” e “Uccidiamo il chiaro di luna” 1909). Carrà racconta l’incontro dei giovani artisti con Marinetti a Milano nella sua casa di Via Senato:

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