Io le guardavo spesso con ammirazione mentre pedalavo sulla mia umile bicicletta. Mi chiedevo chi potesse abitare dietro a quelle facciate di ville storiche coperte da glicini, che hanno avuto così tanto tempo per diventare maestose. Pur abitando vicino mi sono sempre sembrate un mondo a parte. La mia conoscenza finiva di fronte al cartello di Cusano Milanino con scritto sotto “Città Giardino”. Il mio lavoro di guida turistica mi ha sempre tenuta impegnata e lontano da ciò che avevo accanto. Poi è arrivato un nemico invisibile che abbiamo chiamato COVID 19, come se avendogli dato un nome, lo si rendesse più identificabile, ma comunque non gestibile. Siamo rimasti chiusi in casa a guardare il mondo dalla finestra o per i più fortunati come me dal balcone! E allora la mente ha iniziato a vagare e a cercare un senso a tutto questo isolamento e alle vite di chi ci stava lasciando. Io ho cercato subito di stare impegnata, di pensare a qualcosa di positivo e di utile per distrarmi e per credere ancora in un futuro oltre il panorama dal mio balcone. Così ho preso un libro sul mio paese e ho iniziato a guardare le foto, quelle in bianco e nero che mi piacciono tanto e a leggere la storia di un umile impiegato delle ferrovie che aveva un sogno. Pagina dopo pagina, ho assistito ad un sogno realizzato, ma Luigi Buffoli di sogni ne aveva realizzati molti altri. Nato nel 1850 in un paesino bresciano (Chiari), aveva provato fin da piccolo la fatica del lavoro, ma si era sacrificato perché le sue sorelle potessero continuare a studiare. Non aveva una grande cultura scolastica, ma aveva saputo che in Inghilterra (che visiterà più avanti negli anni con le nipoti) qualcuno si stava occupando dei ceti operai, che stavano nascendo le cooperative di consumo, che venivano costruiti villaggi in modo che i lavoratori non dovessero percorrere lunghe distanze per andare al lavoro. Buffoli andava avanti con il suo impiego alle Ferrovie, ma nel tempo libero le idee cominciarono a prendere forma. Così a Milano nacque l’Albergo Popolare in zona Porta Genova, l’Albergo Diurno in piazza del Duomo, il dormitorio per i senzatetto, i panifici, le cantine vinicole sociali, prima al Castello Sforzesco e poi l’Enopolio di corso Sempione. La sua cooperativa di consumo che all’inizio “ci stava in una valigia” come diceva Buffoli, ebbe poi una e più sedi a Milano e persino a Berlino. I suoi cataloghi, dalle stupende copertine Liberty, hanno preceduto di molto la vendita on line e il Postal Market. Io questi cataloghi li ho visti e toccati con devozione. L’autore del libro che mi aveva fatto conoscere i sogni di Luigi Buffoli e che ha fatto sognare anche me, è ora mio amico e tramite lui ho veramente scoperto un mondo. Un mondo e ricordi che speriamo di poter lasciare, in modo ordinato e catalogato a chi vorrà condividere questa storia, a chi vorrà ancora credere nel valore della cooperativa sociale.
Ed è così che, non appena si è ripreso ad uscire dalle nostre case, sono tornata a vederle quelle belle ville, non più con l’invidia, ma con la voglia di capire e di imparare e sono tornata per le strade di Milanino che ora guardo con occhi nuovi. Adesso i nomi delle vie “Cooperazione”, “Benessere”, “Costanza”, “Previdenza”… hanno un senso e ho capito che rispecchiavano gli ideali della Cooperativa, così come le vie che portano i nomi di piante e fiori si adattano perfettamente ad una “città giardino”.
Milanino ha questo nome perché Buffoli non era riuscito a creare a Milano (esattamente dove oggi sorge il Parco Sempione e di questo gliene sono grata!!!) un quartiere che potesse essere accessibile a tutti, dove il bello non doveva per forza corrispondere al lusso e all’irraggiungibile, e dove soprattutto non dovessero crescere tristi casermoni che ormai aveva invaso la città. Scelse l’area vicino al Comune di Cusano sul Seveso, che cambiò poi il nome – Cusano Milanino – unendo così le due zone e dove dal 1909 iniziò a far edificare, Ville e Casette a schiera, creando un luogo dove gli spazi verdi e gli orti dovevano essere un tutt’uno con le strade ampie e silenziose, prive di auto.
Adoperò la pubblicità per avere i primi clienti che a loro volta, pubblicizzarono la bellezza di questo luogo, accessibile da Milano, ma lontano quel tanto che basta per avere persino un’aria più fresca e l’acqua potabile nelle case!
Luigi Buffoli vide l’inizio del suo sogno e forse, pensandoci bene, è stata una fortuna che non ne abbia visto la fine. Perché quando lui se ne andò nel 1914, la sua figura che teneva unita la Cooperativa mancò tanto. Poi ci fu la guerra, poi il fascismo. Si sciolse la cooperativa e arrivò anche la speculazione edilizia degli anni ‘60/’70 che non risparmiò neppure le ville stupende: solo un’amministrazione sconsiderata poteva abbatterle.
E allora ecco, quando pedalo sulla mia umile bicicletta, io cerco di immaginale ancora al loro posto, e le vedo veramente, così come vedo con occhi diversi le case e le ville rimaste, sì, anche quelle stupende che nulla hanno di umile, e non fanno parte del progetto Buffoli. Sorrido a vedere i tombini con inciso Milanino 1910 (abbiamo anche i tombini esclusivi) e ora conosco la storia di ogni casa e anche dell’acquedotto. “Milanino”, luogo scelto dove trascorrere le vacanze persino da quella straordinaria persona che si faceva chiamare Dottor Amal o Petronilla ma che altro non era che Amalia Moretti Foggia, una donna medico la cui generosità verso le persone non aveva confini. Riposa nel nostro cimitero non lontano dalla tomba di Buffoli.
Ultimamente è passato da Milanino anche il Giro d’Italia, che ho visto dal balcone, ma questa volta non perché costretta! E allora come non ricordare Alfonsina Morini Strada che ebbe la sua prima bicicletta nel 1901 (comprata da un rottamatore) e che ne ebbe una nuova come dono di nozze. Una donna che pedalava con gli uomini all’inizio del 1900 non ebbe sicuramente una vita facile né tantomeno comoda. Ma né il matrimonio, né i figli fermarono la sua voglia di andare in bici, partecipando persino al Giro d’Italia del 1924. Non importa se non è mai arrivata prima, importa che abbia realizzato il suo sogno. Adesso riposa qui nel nostro cimitero, non in una tomba, ma in un ossario posto così in alto che ho dovuto prendere la scala. Volevo farle una foto e mandarle un sorriso per dirle “adesso conosco anche te!

Alessandra Abbiati

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