Provate a leggere il libro di Colin Thubron “il cuore perduto dell’Asia”. Capirete che questo cuore non è perduto affatto, anzi. È un cuore pulsante in uno spazio che pare dilatarsi senza confini. Le sabbie si stemperano in un cielo latteo, i fiumi si prosciugano in valli disperate e aride. La gente ride, balla e si veste di mille colori sfidando il nulla che avanza da ogni dove.
Dove sia di preciso l’Uzbekistan pochi davvero lo sanno. Un luogo leggendario in mezzo all’Asia, a sud della Russia. Si accantona la mappa geografica per lasciarsi cullare da un’idea, anch’essa imprecisa, di viaggi lontani, di cammelli e stoffe. Del tempo, impreciso anch’esso, in cui questo era l’ombelico del mondo.
È un buon posto per stendere l’anima, penso camminando. Un posto dove l’umanità sembra inopportuna. Un posto saldamente conficcato nel nulla, incastonato come una gemma rara nell’oblio di un tempo che ormai di affascinante ha solo più il nome: la via della seta.
Sbaglio. Il battito del cuore a cui accennavo non è affatto flebile, ma profondo, regolare.
Selvaggi occhi a mandorla si alternano nelle strade a eterei ovali incorniciati da capelli biondissimi. Imponenti e chiassose matrone con la bocca piena di denti d’oro, sfilano accanto ad altere e composte bellezze longilinee. Vegliardi ricoperti da strati di stoffe in stivali sfondati di cuoio stazionano davanti a moschee e mercati. Ragazzine impertinenti, vanitose e disarmanti ti prendono per mano esibendo un inglese quasi perfetto per proporti un ‘business’ nel loro negozio o al loro banchetto di cianfrusaglie. Un guazzabuglio irreale di forme e persone, di occhi furiosi e dentature dorate. Questa è la terra al di là dell’Oxus, il mitico fiume che un tempo rappresentava il confine oltre cui, per i conquistatori romani, si dilatava un mondo ignoto e vorace. Una realtà fatta di sanguinosi gerarchi, di furiosi condottieri, di illuminati scienziati.
Una storia scritta con il sangue dei vinti e con la paura di chi, miracolosamente rientrato in patria dopo essere stato a Khiva o a Bukhara, ha potuto raccontare di loro, seguaci di Tamerlano, figli di un’Asia brutale e famelica.
E poi lei, Samarcanda. Magia di un nome. Alchimia dello spirito. Il solo pronunciarlo evoca stelle purissime in cieli blu cobalto, pellegrini con turbanti e cammelli, bauli di spezie e carovane cariche di tesori. Un mondo incredibile dove verde e blu si fondono in un gioco di luci e riflessi elettrizzante. In queste madrase, templi sacri dei Sufi, mullah imperturbabili, con lunghe barbe bianche e sguardi seriosi, impartivano a giovani allievi lezioni di storia e morale musulmana. Negli inverni freddi e interminabili tra queste mura si ripetevano litanie arabe e i versetti del corano erano legge di Dio e del popolo.
A conti fatti si ha la sensazione che questi occhi vivaci celino, al di là di un’apparenza composta e decorosa, un animo difficilmente imbrigliabile. Un cuore che nemmeno il regime dittatoriale passato è riuscito a domare fino in fondo, un cuore autenticamente libero che, sono certa, non sarà domato neanche dai nuovi evangelizzatori delle terre arabe oltre le montagne.

Carol Gallo

DATE IN PROGRAMMA

gio 27/05, ore 18.30

COSTO

Incontro online € 10,00

DURATA

L’incontro interattivo avrà una durata di circa un’ora e mezza

PIATTAFORMA WEB

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