"UNA CASETTA DI CAMPAGNA" (John Evelyn)

Eppure c’è qualcosa di magico in queste stanze che sembrano infinite. Stanze che si infilano l’una nelle altre e che mostrano tracce del passato e i restauri del presente. Chissà quanti amori, drammi, gioie e lutti si sono avvicendati fra queste pareti dai colori sbiaditi e su questi pavimenti in marmorino veneziano e cotto. I soffitti di legno sono altissimi con le loro decorazioni a passasotto e i muri spessi rivelano tracce di dipinti che non ci sono più. Mi sento quasi una intrusa visto che sicuramente, anche nelle mie vite precedenti, non appartenevo di certo alla nobiltà, unici ospiti di queste lussuose Ville di Delizia, ma più probabilmente ero la “figlia della Serva” come mi piace sempre definirmi quando spiego questi luoghi.
Questa maestosa villa era chiamata il Castellazzo, per via delle sue origini di borgo fortificato, una vera “Corte Franca” ossia esente dal pagamento di tasse ma che doveva fornire una protezione contro le soldataglie e malintenzionati che si dirigevano verso la città di Milano. Fu Galeazzo Arconati che nel 1610 comprò un preesistente edificio che venne modificato da lui personalmente e nel tempo, dai suoi eredi. Gli Arconati sono una antica famiglia patrizia che deve il nome dal paese di Arconate in provincia di Varese, che fra privilegi concessi dagli Sforza e il commercio della seta si arricchirono sufficientemente per condurre una vita incredibilmente agiata. Ma se vogliamo essere sinceri, il patrimonio per l’acquisto della Villa derivò dall’eredità della moglie Anna Visconti, la quale era cugina di Federico Borromeo (e questo ci spiegherà alcune cose importanti) il quale fece da tutore a Galeazzo e suo fratello Luigi. Non potevano avere uno zio migliore che li “allevasse” nel culto dell’arte e del collezionismo. Infatti, il nostro Galeazzo, di ritorno da un viaggio a Roma, dove aveva potuto vedere di persona le belle ville del passato, ebbe le idee molto chiare su cosa voleva farne della residenza di campagna rendendola così bella e famosa da incuriosire molte personalità. Persino un viaggiatore inglese, John Evelyn, la descrisse nel suo diario di viaggio “bisogna proprio visitare il Castellazzo e prendere una carrozza per desinare fuori città e vedere due ville, li migliori del circondario, l’una del conte Visconti detta Linà, l’altra del cavaliere Galeazzo Arconato… detta Castellacchio… A Castellacchio il cavaliere Arconato si è fatto costruire una casetta nel luogo dove va a passeggiare nella quale dichiara di fermarsi in preghiera”. Sempre in competizione con i “vicina di Casa” i padroni di Villa Litta di Lainate, gli Arconati arrivarono a trasformare la “casetta” in uno dei più bei palazzi barocchi della Lombardia, una piccola Versailles, oggi conosciuta come Villa Arconati. Fra re e regine, nobili e personaggi illustri che furono ospitati, non posso non menzionare Alessandro Manzoni, Arturo Toscanini e il commediografo Carlo Goldoni che visse qui a lungo protetto da Giuseppe Antonio Arconati.
Con le sue 70 stanze che si estendono su di una superfice di 10.000 mq e il suo parco di 12 ettari, tutto il complesso offre ancora oggi la certezza di stupire i suoi visitatori.
Non tutti i muri sono sbiaditi e, grazie al buon proseguimento dei restauri a cura della Fondazione F.A.R. (Fondazione Augusto Rancilio), lo rimarranno ancora per poco. Dicevo, non tutto è scolorito dal tempo perché quando si entra nella sala di rappresentanza al primo piano, dipinta dai fratelli Galliari nel 1700, il fiato si ferma e gli occhi rimangono spalancati e si rimane con il naso all’insù per vedere i maestosi affreschi sulla volta, nonché il vorticoso movimento delle pareti ornate da balconcini con colonne tortili e spazi che lasciano intravvedere un cielo azzurro. I Galliari, famosi quadraturisti e scenografi del Teatro alla Scala, hanno dato il meglio di sé con la rappresentazione della Caduta di Fetonte, il figlio di Apollo che, come un attuale giovane ribelle, volle dimostrare al padre di essere in grado di guidare il carro del sole. Fece invece un disastro perché non fu capace di domare i cavalli spaventati dall’arrivo del segno zodiacale dello Scorpione. Bruciò il cielo formando la Via Lattea e per fermarlo, Giove dovette letteralmente abbatterlo con le sue frecce! Perché questo racconto dal tragico epilogo? Perché questo episodio della mitologia doveva insegnare ad essere tutti più umili e non vantarsi troppo! Non mancano nemmeno il “memento moris” rappresentato dal tempo con la falce, la meridiana e la clessidra, simboli dell’inesorabile scorrere del tempo.
Non mi sono dimentica dello “zio Borromeo” perché fu sicuramente lui ad instillare la passione per il collezionismo. Infatti, nel palazzo a pian terreno, si trovava una camera delle meraviglie con copie o originali di statue di artisti famosi, come Ercole e Alcesti di Pompeo Marchesi, o l’Apollo del Belvedere, ma il “pezzo forte” della collezione era sicuramente la tomba di Gastone de Foix, il nipote del re di Francia, perito giovanissimo a Ravenna durante una battaglia nel 1512. Oggi, parte del suo monumento, si trova al Castello Sforzesco e presso la Pinacoteca Ambrosiana e anche a Londra, ma questa scultura meravigliosa aveva proprio una stanza a lei dedicata. E che dire del Codice Atlantico? Anche questa raccolta di manoscritti leonardeschi apparteneva alla famiglia Arconati che, su suggerimento dell’illustre zio, l’ha donata alla Pinacoteca, sua grandiosa istituzione. E poi c’è il salone da ballo, la sala della caccia e nel parco, laggiù in fondo c’è il Teatro di Diana, e un laghetto, si incontra anche una statua di Ercole e la fontana dei Draghi e … e no, così vi sto raccontando tutto. Facciamo che vi aspetto qui e sarò felice di farvi da guida perché, pur non appartenendo a una nobile famiglia, mi è stato comunque concesso in dono un particolare lasciapassare che si chiama “Passione”!

Alessandra Abbiati

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